sabato 31 marzo 2012

RITORNO

Ebbene sì, sono tornata!

Passata da Madrid per festeggiare l’amato FM, ho trovato una meravigliosa primavera ma anche uno sciopero (la huelga, la huelga…) che mi ha bloccato un giorno in più. In fondo ne sono stata felice!

Purtroppo questo è il mio ultimo post e vi lascio affezionate lettori: mi mancherete!!!

E’ stato un viaggio bellissimo, intenso, a volte stancante ma sempre entusiasmante. Ho visto con gli occhi e con il cuore e questo sarà indimenticabile. Ci sono paesi, dove mi piacerebbe ritornare altri un po’ meno: ma è normale!
Chissà che prima o poi non ci sia “my second world tour”…quindi ARRIVEDERCI!!!

lunedì 26 marzo 2012

Argentina - Buenos Aires

Che bello arrivare in aeroporto e trovare un amico che ti aspetta!!! Solo dopo mesi di solitudine ti rendi conto di quanto ti sono mancate le tue relazioni sociali. Ho cominciato a parlare, a raccontare… poverino l’ho stordito! Il suo appartamento è nella zona di Puerto Madero e ha una vista bellissima sulla città e sul Rio della Plata. Fortunatamente sono qui durante il weekend così ha potuto dedicarmi (gentilissimo!!!) il suo tempo e mi ha fatto visitare la città e alcuni mercatini caratteristici.
Prima di tutto la zona di San Telmo, piena di negozi di antiquariato, con uno splendido sapore retrò fatto da coppie agée che ballano il tango, cantanti in playback che imitano il grande Gardel, burattinai e venditori di empanadas. E nelle bancarelle gli splendidi sifoni in vetro per il selz, i tappeti di vacca, e i cappelli di cuoio dei gauchos…

Poi siamo andati a Recoleta, con bancarelle di artigianato nel parco, dove il pezzo forte è un albero enorme con rami sinuosi che crescono orizzontalmente e sono sostenuti da una struttura di legno! Lì ci sono alcuni ristoranti carini, dove ci siamo fermati a pranzo al sole.
Una gita stupenda è stata quella al Tigre, dove c’è un altro mercato e soprattutto da lì parte una gita in battello nel delta del Rio della Plata. I detriti portati dal fiume, con gli anni hanno creato una serie di isolotti, collegati solo via acquea, dove ci sono graziose case di legno, con il loro pontile, e alcune aree balneari organizzate. Particolare è la casa dell’ex-presidente Sarniento, una piccola cabaña, completamente racchiusa da un cubo di cristallo a proteggerla. Impressionante invece il colore del fiume dall’aspetto fangoso e la quantità di barche che ci navigano!!!

Un altro luogo inatteso è il Museo National de Arte Decorativo, in una villa in stile liberty dei primi dell’800, con opere di Rodin!!! Nel giardino uno splendido Caffè (Croque Madame), con tavolini sotto gli alberi, fuori dai rumori e dalla bolgia della città.
Buenos Aires è una città molto bella, con grandi viali, palazzi in stile francese imponenti, e molti parchi: l’impressione che ho avuto, grazie alla mia “guida doc”, è stata di un luogo familiare, un po’ naif, dove c’è un’ottima qualità della vita!

Testimonianza del suo opulento passato è anche il Teatro Colon, in stile francese ma con chiari riferimenti progettuali alla Scala di Milano: lì negli anni ‘30 la ricca borghesia dei porteños, si incontrava imitando gli europei…

Imperdibile è il Museo di Evita nella zona di Palermo Viejo: oltre a filmati d’epoca, ci sono i suoi abiti con accessori…L’edificio è grazioso, con un caffè nel giardino interno.

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E’ risaputo che a Buenos Aires bisogna andare a vedere uno spettacolo di tango. Ma, andare in una vera milonga porteña (Club Grisel) è una esperienza unica. Arrivano i ballerini, gente comune, tutti tirati a lucido con il loro sacchettino con le scarpe per ballare. Si accomodano in tavoli, donne e uomini separati, e lì inizia il gioco degli sguardi: basta un ammiccamento dell’uomo e un gesto di capo della donna (dalla parte opposta della sala), e subito si forma la coppia. Dopo tre balli, c’è uno stacchetto musicale e si ricomincia cambiando partner! Senza accorgermi ho passato due ore ad ammirare lo spettacolo non solo di ballo ma anche di strategie di corteggiamento… Come vorrei saper ballare il tango!

domenica 25 marzo 2012

Argentina - Mendoza e Cordoba

Piena di aspettative sono arrivata a Mendoza: purtroppo deluse! A parte il panorama dall’aereo, dove vedi come il deserto, di colpo, si trasforma in terreni verdi coltivati, la città è totalmente priva di carattere. Una vita pedonale con i bar all’aperto, delle ampie piazze quadrate…poi basta. Pensavo a una cittadina tipica, immersa tra i vigneti e le cantine, e piena di locali di degustazione; invece le bodegas di vino sono a 20 km dalla città, e anche difficili da raggiungere, se non con tour organizzati (ne ho prenotato uno, ma quando il bus è arrivato in ritardo di un’ora, pieno di gente dicendo che doveva raccogliere visitatori in 10 alberghi della città e poi riportarli… beh li ho mandati al diavolo!!!)
Cordoba, invece, è una città coloniale molto bella. Piena di chiese deliziose, ognuna con differenti caratteristiche e tutte molto ben conservate! La Manzana Jesuitica (manzana nel senso di isolato non di mela…), patrimonio dell’umanità, è composta di una chiesa dalla particolare copertura a botte della navata centrale, costruita con legno del Paraguay, e dalla Universitad National de Cordoba fondata dai Gesuiti. L’università, la più vecchia dell’America Latina, ha avuto un ruolo molto importante nello sviluppo della città e oggi gli studenti sono il 10 % della popolazione.

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E’ impressionante come ancor oggi, in molti luoghi pubblici dell’Argentina, ci siano cartelli con le foto dei desaparecidos durante la “guerra sporca”: per non dimenticare!!!

giovedì 22 marzo 2012

Argentina - El Calafate

Dalla Fin del Mundo ho cominciato a risalire la Patagonia Argentina e sono arrivata a El Calafate, grazioso paese affacciato sul Lago Argentino. Calafate è il nome dell’arbusto verde che si trova nel bush patagonico, il cui frutto è una specie di mirtillo, dolcissimo, con cui producono di tutto, dal liquore alla marmellata.

Tutte le costruzioni, alcune molto belle, sono rivolte verso il lago, di un meraviglioso colore turchese. Anche il mio albergo ha delle stupende vetrate da cui si gode una vista spettacolare a tutte le ore del giorno. A 80 km c’è il famoso Perito Moreno al Parco National los Glaciares. Dopo km di bush patagonico cosparso di bassi cespugli e con i guanachi che ti osservano dalle alture, di colpo, dopo una curva, ti trovi di fronte al ghiacciaio!!! Una emozione incredibile!!! Il contrasto tra il bianco rilucente del ghiaccio, il turchese delle acque del lago (colore creato dalla”farina glaciale”) è abbagliante. Per osservarlo meglio sono salita su un battello che si è avvicinato, e poi, una volta a terra, ho passeggiato nei sentieri con delle balconate che si affacciano sul ghiacciaio. Bellissimi sono i colori e le forme dei picchi di ghiaccio, dal bianco al bluette acceso, con grossi crepacci. Inoltre si sentono continui boati, dovuti a blocchi di ghiaccio che si staccano, perché è un ghiacciaio vivo, che a differenza di altri ( artide ed antartide) cresce ogni anno.
Caratteristica del luogo è il vento pazzesco, tale da far fatica a stare in piedi e da non riuscire a tenere la macchina fotografica ferma, con il risultato che le tantissime foto sono quasi tutte mosse!

Finalmente sono riuscita a conoscere un po’ di viaggiatori piacevoli, con cui ho scambiato impressioni, emozioni e racconti di viaggio! Con il risultato che ho scoperto altre mete interessanti, che mi sono ripromessa di visitare….
Al ritorno, malgrado il continuo vento gelido, siamo andati alla Laguna Nimez all’estremità Nord del paese, a veder i fenicotteri e altre specie di uccelli. Lì vicino c’è l’Estancia Cristina di proprietà della presidentessa argentina, originaria di El Calafate.

sabato 17 marzo 2012

Argentina - Ushuaia - 8a tappa

L’avventura continua. Partita in bus da Punta Arenas a Ushuaia: 12 ore attraversando lo stretto di Magellano a Punta Delgada, il confine a San Sebastian e costeggiando l’Oceano Atlantico.
Il primo tratto di strada è prevalentemente sterrato. L’isola della Tierra del Fuego appartiene metà al Cile e metà all’Argentina ed è in parte pianeggiante. Una volta superato il confine, la strada è asfaltata, cominciano a esserci le estancias con pascoli e campi coltivati e poi un po’ alla volta si entra nella parte montuosa (la strada corre tra dirupi pazzeschi!).
Verso sera il bus, costeggiando il Canale di Beagle, è finalmente arrivato nel porto di Ushuaia. Il paese è grazioso, con costruzioni basse in legno, pieno di negozi di articoli sportivi per le esplorazioni. Solo questo ricorda il passato leggendario fatto da esploratori, missionari, cercatori d’oro e avventurieri di questa regione!

Nel programma che mi ero fatta c’era la visita con trekking al Parco Nazionale. Avevo escluso: corsa con i cani da slitta, kayak tra i leoni marini, canopy tour… (è risaputa la mia poca simpatia per lo sport estremo, dove mi faccio poi sempre male!) Alla mattina purtroppo mi sono svegliata sotto un’incredibile nevicata e le Ande, alle spalle del paese, tutte imbiancate. Sono felicemente passata al piano B e sono andata a vedere i due musei.
Devo dire che mi sta accompagnando in quest’ultima parte del mio viaggio, un libro affascinante: ”Ultimo confine del mondo” di Lucas Bridges. Racconta della sua infanzia in questa terra con il padre missionario e la famiglia, di come è nata Ushuaia, e descrive molto bene la popolazione nativa (gli yaghan). Purtroppo un popolo, che come gli altri di questo territorio, si è prima decimato e poi è scomparso totalmente, una volta venuto in contatto con le malattie trasmesse dai colonizzatori. Il Museo Yamana ne descrive le usanze ed è bello riscontrarle nel libro che sto leggendo. Imperdibile è il documentario proiettato, fatto da Alberto De Agostini (sì, proprio di quella famiglia dei De Agostini…) negli anni ’30, con filmati originali della popolazione autoctona.
L’altro Museo è nella vecchia prigione di stato, attiva dal 1920 al 1947. Dalle foto si apprende che i prigionieri costruirono, oltre alla prigione, in pratica tutta la città, compresa la chiesa, e le infrastrutture della regione!!!

Il giorno dopo il tempo è girato in peggio: pioggia e vento gelido! Però nulla poteva fermarmi dall’andare nella famosa Estancia Harberton, dove visse Bridges. Gli 80 km per arrivarci in pulmino, su strada sterrata e di montagna, sono stati un supplizio (gente che stava male…). Poi, entrata nella Estancia, prima ho visitato un piccolo museo sulla fauna che vive in quelle acque, e poi mi sono imbarcata in un gommone che portava in un’isola nel Canale di Beagle, piena di pinguini, di 3 differenti razze: il magellanico, il reale e il papua! Bellissimi! Nel loro habitat naturale, con i nidi scavati nel terreno…
Un freddo da morire…e questa è la loro estate! Pensavo agli Yaghan (non più di 100 anni fa) che navigavano e pescavano in queste acque con le loro piroghe di corteccia, vestiti solo di un perizomino peloso. Infatti, preferivano cospargersi il corpo di grasso di balena piuttosto che coprirsi con indumenti che presto si sarebbero inzuppati!
Dopo questa esperienza forte, per scaldarmi, sono andata a cena al Bodegon Fueguino: un locale tipico con le panche coperte da pelli di pecora. Purtroppo, e non l’ho notato solo lì, la simpatia non è della Patagonia, sia Cilena sia Argentina. Forse il clima non aiuta, ma non c’è pericolo di ricevere un sorriso o scambiare una parola con i locali: in fondo mi vedono sola, a cena, sorridente…e chiedimi almeno da dove vengo. Come rimpiango i calorosi Fijiani e Polinesiani e il loro chiacchierare!

giovedì 15 marzo 2012

Cile - Punta Arenas

Per andare da Puerto Montt a Punta Arenas, nella Patagonia Meridionale Cilena, ho sorvolato la Cordigliera delle Ande: vette innevate, laghi in quota e ghiacciai. Poi la desolazione…ero arrivata!
Punta Arenas (da Sandy Point, nome dato dai primi esploratori) è sullo Stretto di Magellano ed era una colonia penale cilena. In seguito, però diventò un importante e ricco centro commerciale e i bei palazzi in stile liberty ne sono la testimonianza, Purtroppo sono arrivata il giorno dopo di una grave inondazione, dove tutto il centro è finito sotto cumuli di fango (800 famiglie sono state evacuate…). Impossibile muoversi da qui perché è andato tutto in tilt. Per fortuna il mio albergo è in una zona un po’ in alto e sono riuscita a fare una passeggiata, sguazzando nella melma (per fortuna le mie pedule, color fango, sono rimaste integre…). Il primo bus per la Terra del Fuoco partirà venerdì e ho già prenotato un posto!
Per ammazzare il tempo, sono andata a fare un tour (ero l’unica passeggera!) fino a Puerto del Hambre, che deve il suo nome al fatto che l’avamposto spagnolo insediatasi nel 1500, se ne andò perché moriva di fame… Ho visto dei barconi e ho chiesto a un vecchio cosa si pesca: alghe bianchicce gelatinose, da cui si ricava una sostanza utilizzata nella cosmesi in Giappone (!!!).
Lì vicino c’è anche il Fuerte Bulnes, che non ebbe miglior fortuna nella metà dell’800: il primo accampamento cileno si spostò presto a Punta Arenas, un po’ meno esposta alla furia degli elementi! Per completare questa amena sosta ho visitato il Cimitero Municipale (c’è stato anche Bruce Chatwin!). In effetti ci sono cappelle opulente a dimostrare la ricchezza delle famiglie che qui hanno fatto fortuna: la maggior parte croati, inglesi, tedeschi, italiani…

martedì 13 marzo 2012

Cile - Puerto Montt/Isla de Chiloè

La sosta tecnica a Puerto Montt, dove c’è l’aeroporto, l’ho fatta all’Hostel Tren del Sur, un albergo carinissimo, anche se non confortevole, ricavato dal vecchio dormitorio dei lavoratori della ferrovia, e costruito utilizzando vecchie traversine…
Poi, arditissima, ho preso una macchina a noleggio e sono andata due giorni a Chiloè. E’ una meta che sognavo da anni, di cui ho letto molto attraverso i racconti degli scrittori cileni (che adorooo). E’ un’isola magica, con storie mitologiche fantastiche e paesaggi incredibili: colline verdissime dove pascolano mucche pezzate e pecore, casette di legno tutte colorate, mare e insenature. E’ famosa per le sue chiese di legno, di cui 16 sono inscritte dall’Unesco come Patrimonio dell’Umanità.
Dopo aver preso il traghetto a Pargua, sono andata direttamente a Villupulli, dopo Castro a vedere la prima chiesa. Alla fine di una strada sterrata, in un luogo abbandonato, con di fronte solo 2 pecore enormi, ho trovato questa chiesetta in scandole di legno e una torre snella e delicata. Poi a Castro ho visitato la Iglesia San Francisco, rivestita di fogli di lamiera colorata gialla, e all’interno tutta di legno. Castro è famosa anche per le palafitos, case in legno sull’acqua, tutte coloratissime. Dopo una notte nel paese, e aver degustato a cena il famoso curanto, da cui sono uscita, miracolosamente indenne (una zuppa di carne, salsicce, crostacei e patate), il giorno dopo sono ripartita alla ricerca di altre chiese. Mi sono fermata a Dalcahue dove, oltre alla chiesa di Nuestra Senora de Los Dolores (forse dedicata a EM???), c’è un mercato artigianale dedicato ai lavori a maglia con la lana locale: in comprabili per la ruvidezza anche se i colori, naturali, sono bellissimi!
Poi ho preso un altro traghetto e sono andata nell’Isla Quinchao, dove ci sono altre 3 bellissime chiese, sempre ricoperte di scandole in legno. I paesaggi qui, sono ancora più emozionanti, con insenature blu e pascoli verdissimi.
In serata sono tornata a Puerto Montt per un’altra sosta tecnica… Devo dire che questa esperienza in auto, che un po’ temevo, essendo sola, si è invece rivelata molto entusiasmante!!!

sabato 10 marzo 2012

Cile - Santiago - 7a tappa

Una notte di transito a Santiago del Cile, prima di scendere verso il sud: la Patagonia Cilena.
Nella mattinata sono andata a fare un giro della città e a vedere i luoghi famosi della storia recente cilena. Il Palacio de la Moneda, dove resistette e si “suicidò” Allende, con la sua statua, sono toccanti. Il resto del centro città è prevalentemente in stile neoclassico, senza particolari caratteristiche a parte la vecchia Estacion Mapocho, con struttura di ferro e ghisa costruita in Francia, e il Mercado Central pieno di banchi di pesce fresco. Ovunque ci sono barboni e cani randagi per terra, che la gente scansa indifferente...

…spotted…
Ho scopeto il pisco sour! Cile e Perù si contendono la paternità di questo cocktail fatto con pisco (acquavite) e succo di limon de pica,  e fanno bene perchè trovo sia fantastico!

giovedì 8 marzo 2012

Isola di Pasqua - 6a tappa

Fin dall’arrivo all’aeroporto dell’Isola di Pasqua, ti rendi conto dei forti legami con la Polinesia: stessa struttura a gazebo di legno e stessa corona di fiori di benvenuto, stessa lingua mescolata allo spagnolo… L’isola però è pianeggiante, con lievi declivi di prati verdi. La forma è triangolare, perché si è formata da tre vulcani che stavano alle estremità, e tutt’intorno è circondata da scogliere a picco sull’oceano.
L’albergo dove alloggio è stupendo: completamente ecologico, costruito con materiali dell’isola, e coperto da un manto vegetale con oblò che illuminano parte della camera. Si  chiama Hangaroa ed è leggermente fuori rispetto al paese di Hanga Roa (l’unico dell’isola).

L’impatto con l’isola è stato un po’ traumatico. Sono uscita alle 13 per andare all’ufficio della Lan Airlines nel tentativo di cambiare invano un prossimo volo…. Poi cerco di cambiare i dollari, ma la banca è chiusa e l’unico cambia valute è la pompa di benzina. Mi perdo e sotto un sole accecante, e a stomaco vuoto; fermo un pick up carico di bambini, cani, ecc per informazioni e la ragazza che guida apre la portiera e mi fa salire.  Mi ci porta ma è chiuso per la siesta e riapre alle 15. Decido di non aspettare e quindi ritorno nella via principale per prenotare il tour al parco archeologico. Lì non riesco a pagare con la carta di credito perché hanno tolto la luce per un paio d’ore! Allora cerco un bancomat. Primo tentativo fallito (sempre sotto il sole e senza aver mangiato). Entro in una gelateria dove ho dovuto trattenermi a non rubare un cono meraviglioso a un bambino (continuavo a non avere pesos cileni, ovviamente…) per sapere se c’è un altro bancomat: certo il nuovo Santander. Vado pimpante, metto la carta, scelgo l’importo…funziona…wow…ma si blocca tutto!!! Busso nella banca chiusa dove c’è ancora una signora. Mi dice che devo aspettare perché è alimentato con i pannelli solari e fa fatica a far uscire i soldi. Dopo un bel po’ la carta viene rigettata, senza soldi ma in compenso mi arriva un messaggio che sono stati prelevati: dove saranno??? Sfinita me ne sono tornata all’hotel. Il mana, l’energia dell’isola, dov’era finito?
Il giorno dopo, ripresa, sono andata a fare il tour nel Parque National Rapa Nui. Prima di tutto al Rano  Rarako, il vulcano spento, nel cui cratere c’è un grazioso laghetto. Qui venivano costruiti i moai, utilizzando la pietra vulcanica del sito. Se ne trovano tantissimi, nelle varie fasi di lavorazione: venivano scavati orizzontalmente utilizzando strumenti di basalto (non essendoci metalli nell’isola) e poi fatti rotolare distesi o ruotati sulla loro base (ci sono varie teorie) fino agli ahu, piattaforme cerimoniali. Pare fossero circa 900 in origine. A est del vulcano c’è l’Ahu Tongariki che sostiene ben 15 moai in riva all’oceano. Un’emozione incredibile! Un altro sito interessante è la Bahia la Pérouse, dove oltre a un enorme moai disteso, c’è una pietra perfettamente tonda magnetica, chiamata “l’ombelico del mondo” (forse ha ispirato Jovanotti?).
In tutta l’isola ci sono mohai distesi e in piedi ovunque (questi ultimi, però sono stati sollevati solo in epoca recente!). Interessante è il villaggio cerimoniale di Orongo, intanto per la posizione incredibile, affacciato sull’oceano con alcuni piccoli isolotti di fronte, e per la forma delle case in pietra, ellittiche. Chiaro è il riferimento progettuale della forma dell’hotel dove sto! Vicino c’è il cratere del vulcano Ranu Kao, con interna una verdeggiante palude.

L’ultimo giorno mi sono avviata pimpante al Santander per il recupero dei miei soldi fagocitati dal bancomat solare: niente da fare, devo rivolgermi alla Visa in Italia! Rassegnata, ho deciso di andare al Museo Antropologico, dove c’è l’unico occhio di moai autentico recuperato in corallo bianco: assolutamente imperdibile! Ma dopo mezz’ora di cammino sotto il sole, del museo neanche l’ombra ed io cominciavo ad avere uno strano malessere. Fermo, per indicazioni, l’unica macchina che passa, sgangherata, con a bordo uno strano personaggio, a torso nudo, capello brizzolato a boccoli fino in vita e turbante azzurro in testa. Mi apre la portiera e mi dice che mi ci porta lui! E io, malgrado anni di educazione basata sul terrore dello sconosciuto, cosa ho fatto?...sono salita. Mi chiede se sono sola, e cosa rispondo?...SI…Mi propone di andare a  fare un giro dell’isola con lui e stare insieme…A quel punto mi sono sentita morire, la strada era diventata uno sterrato e poi, come per miracolo ( qualcuno lassù mi guarda!) sono arrivata al Museo e scesa di corsa dalla macchina! Mi ha rincorso per chiedermi di dargli 2000 pesetas, gliene avrei dati ben di più! Questo a dimostrazione che malgrado io sia sempre vigile, il colpo di mona è sempre in agguato.

lunedì 5 marzo 2012

Polinesia Francese - Isole Tuamotu - Tikenau

Dopo i tre giorni tranquilla a Bora Bora mi sono trasferita alle Isole Tuamotu. Sono atterrata a Tikeau su una pista quasi inesistente e sono stata l’unica passeggera a scendere dall’aereo! Mi aspettavano con la solita collana di fiori (poi quando te ne vai, te ne danno una di conchiglie…) e mi hanno portato alla Pension Hotu: cinque bungalow spartanissimi sulla sabbia bianca, sotto le palme e in riva al mare più azzurro che ho visto in vita mia. E’ gestita dalla famiglia di un francese e al momento sono la sola ospite.

Armata di pinne e maschera mi sono subito avvicinata, guardinga, al mare. In quel mentre passavano un allegro gruppo di mini squaletti pinna nera (dov’era la mamma?). Aspetto un po’ e…appena guardo sotto con la maschera …una razza!!! Jacques Cousteau affermò che tra tutti gli atolli del pianeta, quello di Tikeau era sicuramente quello più ricco di pesci: ma vah!

Allora il secondo giorno ho deciso di fare il giro dell’isola in bicicletta: preparo lo zaino, chiedo in prestito un cappello di paglia ad Amande, la ragazza di cucina. Scelgo la bici e mi faccio abbassare il sellino, per essere più comoda. Parto salutata da tutto il personale della pension…e comincio a pedalare. La strada è sterrata e sabbiosa e circonda l’atollo. Costeggio sempre l’acqua, ci sono poche casette, una bella chiesetta nel villaggio (dove però la posta era chiusa perché la postina è incinta e non si sentiva bene...) e tante palme da cocco. Qui l’economia è basata sulla copra: polpa essiccata di noci di cocco da cui si estrae l’olio. Faccio un po’ di foto.
Faceva caldo da morire e dopo un’ora comincio a pensare che sono stata una stupida a non portarmi via da bere, sperando di trovare un chiosco… Finalmente vedo una simpatica Pension e decido di andare a bere lì: era la mia Pension Huto e avevo fatto già fatto i 9 km dell’isola!!! Amanda è uscita dalla cucina sghignazzando “ ma sei già tornata? devi aver pedalato in fretta?” e giù a ridere.

Dandomi un contegno mi butto in mare per fare il bagno: a 5 metri dalla riva mi taglia la strada uno squalo di almeno un metro (forse la mamma di quelli di ieri!)… Tra me e Ariel c’è un abisso e mai termine fu più appropriato!
Il secondo giorno sono andata con il proprietario della Pension e la sua famiglia a fare un bel giro nella laguna con il suo motoscafo. La prima tappa è stata in un punto dove le mante vanno a” farsi pulire la bocca” da dei pesciolini blu: sono bellissime, enormi e….sprezzante del pericolo, questa volta sono rimasta a fare snorkeling vicino. Poi ci siamo fermati in un piccolo motu, con delle piscine naturali, a fare il pic nic. Ernest, mentre il pesce era sulla griglia, ha tagliato dei rami di palma, e li ha intrecciati per utilizzarli come piatti da portata: design stupendo! A riva, intanto, banchettavano con le interiora dei pesci, una quantità incredibile di pescecani…

Il giro ha compreso anche la visita dell’Île d’Eden, dove una comunità religiosa (quattro al momento) vive totalmente autosufficienti, coltivando ogni tipo di pianta e allevando animali. E poi l’Île des Oiseaux, dove abbiamo visto moltissimi nidi con uccelli che nidificano lì!
Sicuramente quest’isola è statala la tappa che mi ha emozionato di più dal punto di vista naturalistico: sarà impossibile dimenticare questi colori, questi pesci (!!!) e questa natura lussureggiante.

Polinesia Francese - Bora Bora

La cosa più bella è vedere questa isola dall’alto arrivando in aereo: una parte centrale montuosa e poi tutt’attorno sul reef una serie di isolotti lunghi (motu) dove ci sono i vari resort di lusso.

L’arrivo all’aeroporto, su uno di questi motu, è molto suggestivo: subito prendi un catamarano che ti porta alla tua destinazione. E’ già un giro bellissimo nella laguna. Non sono andata ai resort esclusivi, ma al Maitai Polynesia dove, grazie a un upgrade, ho avuto una stanza arrampicata sulla collina, con vista mozzafiato! Anche il ristorante sulla sabbia, in riva alla laguna, è carinissimo.
Qui mi sono lasciata prendere dallo spleen locale, chiamato fiu (fatica malinconica…, stanca, annoiata).

Altro termine molto usato è tapu, o tabù (importato nelle altre lingue oltre a tatuaggio da tatau), che indica tutto ciò che è proibito e governava l’antica civiltà polinesiana.